Bambini e natura, contatto perduto
di Silvia Vegetti Finzi
Siamo tutti d’accordo che il corpo non è un accessorio, che noi non abbiamo
un corpo ma siamo il nostro corpo. Tuttavia questa consapevolezza resta lettera
morta e l’educazione dei bambini procede enfatizzando la comunicazione mediata,
simbolica, astratta, a scapito del contatto diretto, concreto, sensibile con le cose.
Tra le “cose” di cui i bambini sentono principalmente il bisogno vi sono quelle che
non si comprano, come l’aria, la terra, l’acqua, l’erba, le piante, gli animali. Ben presto
le conoscono attraverso la televisione, i libri, il cinema, sanno nominarle, persino
in termini scientifici, disegnarle, classificarle, ma tutto finisce lì.
Se impariamo a osservare i comportamenti dei più piccoli, ci accorgiamo ben
presto che le loro esigenze sono altre: non vedono l’ora di calpestare le aiuole, bagnare
le scarpe nelle pozzanghere, lanciare i sassi, cogliere fiori e frutti, tirare la coda al gatto,
inseguire i piccioni, osservare le formiche.
Incapaci di cogliere e valorizzare questi impulsi, gli adulti reagiscono per lo più
con sgridate e minacce, come se l’ordine, la pulizia, la sicurezza e il decoro fossero più
importanti del piacere di utilizzare il corpo, rischiare l’avventura, espandere le proprie
potenzialità e incontrare i propri limiti, di vivere insomma nel senso pieno del
termine. Sì, perché proprio di vita si tratta, di vita nella natura. I due termini sono stati
per secoli un binomio inscindibile e solo da poco abbiamo imparato a separarli,
contrapporli e... dimenticarli. Col risultato che una generazione attenta alla forma
fisica sta allevando dei piccoli obesi.
Con questo libro, che giunge quanto mai opportuno, Richard Louv ci invita a
riconoscere e riconnettere le due dimensioni, non per tornare indietro, ma per andare
avanti, per utilizzare i sensi intorpiditi e le membra anchilosate da rapporti sociali
che prevedono solo l’uso della testa, lasciando il mondo, posto sotto vetro, al di là
dello schermo.
I nostri bambini incontrano per lo più la natura durante le vacanze, a casa dei nonni,
nelle gite del fine settimana o d’estate al mare o in montagna. Ma il loro contatto
con il mondo naturale è costantemente ostacolato da vincoli ambientali: un’interpunzione
capillare di divieti, interdizioni, consigli e suggerimenti inibisce un rapporto
diretto del corpo con l’ambiente. È proibito calpestare i campi, cogliere fiori e frutti,
avvicinarsi troppo agli animali, scalare le rocce, immergersi in acque non protette,
uscire dagli spazi delimitati dalle spiagge, raccogliere le conchiglie, tirare i sassi, costruire
una capanna di frasche, rifugiarsi tra i rami di un albero. La parola d’ordine è
ovunque: guardare e non toccare! Gli steccati posti dai regolamenti pubblici vengono
poi esasperati dalle proibizioni familiari.
In una società che vuole essere assicurata su tutto, che rifiuta ogni rischio, nessuno
osa affrontare l’eventualità che un bambino cada, si sbucci le ginocchia, si
scheggi un dente, smarrisca la strada, faccia un brutto incontro. Con la conseguenza
che il mondo esterno, privo di bambini, diventa sempre più pericoloso per il bambino
che vi si avventuri. La nostra vita è caratterizzata dalla paura: il lupo è ormai
ovunque. I confini dei nostri figli stanno diventando sempre più stretti perché, come
è stato provato, la percezione della pericolosità del mondo esterno supera di gran
lunga i pericoli reali. Ma se la natura è solo da vedere, pensano molti, tanto vale farlo
comodamente sdraiati dal divano di casa.
articolo tratto dal mensile Ecomondo - VITA - maggio 2007
questi sono alcuni dei motivi per i quali riteniamo assurdo che si proponga di costruire un museo destinato ai bambini, dentro a un parco, e per giunta sotto terra!!!
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